U zzì Viciu Paglia

Quando ero bambino, mille anni fa, sentivo parlare spesso di un uomo: lu zzi Viciu Paglia (signor Vincenzo Paglia al secolo Vincenzo Genuardi; cfr. Sorce Cocuzza, Storie e personaggi, 1990, pp. 221-223).
Chi era? Cosa ha fatto? Chi è stato?…niente di speciale.
Era semplicemente un cristiano praticante (1).
Siccome la gente vi si rispecchiava, e il riflesso era a loro sfavore, gli dava fastidio. Come il sale nella minestra, in Chiesa c’era sempre, specialmente nelle occasioni delle Sacre Liturgie.

Ha fatto tante cose belle…ha insegnato a pregare a tante persone. Spesso prendeva l’iniziativa di officiare il rosario, e lo recitava “miagliu” di li parrini: meglio dei preti.

Per apprezzare meglio il di lui comportamento, bisogna trovarsi in Chiesa, ancora oggi, quando si risponde alla seconda parte dell’Ave Maria o del Padre nostro: Ognuno va per conto suo. Come se vi fosse in palio un premio per chi finisce prima.

Il nostro amico era un contadino e lavorava la terra in solitudine. Le uniche compagnie erano la mula e la capra. Zappare la terra da solo non era un problema. Neanche arare in solitudine era un cruccio. Seminare da solo in quel tempo era impossibile: era necessario qualcuno (cu iìttassi a simenta) che gettasse la semenza. La mietitura con la falce era un vero calvario specialmente nella contrada “nnìvinedda” (Indovinella), una delle parti più basse del territorio mussomolese. La calura era insopportabile.
I genitori dello scrivente avevano della terra in quella zona e capitava di incontrarlo, o di vederlo lavorare.
Il saluto suo era “sia lodato Gesù Cristo”. Prima di inventare la mietitrebbia il grano e i legumi erano pestati dagli animali…equini o bovini.
Ciò avveniva nell’aia: un pezzo di terra battuta a forma di un grande disco ove si versava il raccolto. Dopo l’immane lavoro bisognava aspettare il vento “pi spagliare”, cioè dividere le granaglie dalla pula e dalla paglia.

Quando non c’era vento qualche contadino, disperato per la perdita di tempo, perdeva le staffe e le bestemmie, alte e sonore, si espandevano per la silenziosa campagna come una sciagura.A sentire quelle bestemmie il signor Vincenzo, si fermava un attimo e faceva il segno della Croce.

Difficilmente il nostro amico si arrabbiava.
Era un uomo solo…spesso preso in giro per la sua condotta da buon cristiano. Neanche ai preti era simpatico, perchè temevano il confronto con la sua condotta. Negli anni cinquanta, del secolo scorso, non c’era la TV, né svaghi di altro genere. Non c’era, per la verità, neanche il lavoro.
Le Chiacchiere erano l’unico svago delle “male lingue e delle buone lingue”. Insomma…le maldicenze (a fuarficia, la forbice) erano all’ordine del giorno.
Le occasioni per sparlare il prossimo erano tante: quando le molte piazze del paese erano piene e nei saloni dei barbieri…vere gazzette delle cronache quotidiane.

Povero signor Vincenzo … com’era bello imbacuccato con quel mantello blu.
Poviru zzì Viciu Paglia…quantu ièra biaddu cu dda scapuccina atturcigliata (2).

1) Cristiano a Mussomeli significava, essere umano, creatura di Dio.
2) Scapuccina, caratteristico mantello di panno blu, con cappuccio e ampie falde.

Per saperne di più su Caluzzieddu Di Giuseppe da Mussomeli vi invitiamo a consultare la scheda in Bibliografia Mussomelese

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Scritto da: DiGiuseppe_Calogero - il 27 febbraio 2011 - Categoria: Quannu mi chiamavanu Caluzzieddu ! - Nessun Commento -

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