A porta russa

 

 

Era un angolo poco lontano dal paese, ormai fagocitato dai palazzi di nuova costruzione, ma allora per noi ragazzi era il limite, il confine, oltre il quale di sera si rischiava di andare incontro a pericoli inimmaginabili e ancor più acuiti dal buio. Con la luce del giorno, rimaneva sempre un posto lontano, ma noi carusi lo usavamo come punto di rifermento. Era a porta russa, uno sgangherato portoncino sempre chiuso da un enorme catenaccio che impediva ai malintenzionati di entrare in un piccolo appezzamento di terreno dove si coltivava uva e qualche albero di susine.
Per noi ragazzi, alla fine degli anni ’50, i passatempi erano pochi e fra questi la corsa. Ricordo un vocabolo, che non so se si usa ancora: attapanciari (raggiungere e superare). In paese avevamo un imbattibile campione, detto Pipituni, mai capito se era un soprannome o la versione dialettale di un cognome, per l’appunto Pipitone. Qualcuno sostiene che è la forma dialettale dell’uccello, reso famoso dai Sepolcri di Ugo Foscolo: l’upupa.

Ma torniamo al nostro velocista e alla corsa. Ci si divertiva a sfidarlo giocandosi 10 lire, un cifra che consentiva di comprarsi un bel gelato al Bar Nuccio. La pista era u stratuni, poco distante da i casi popolari che portava e porta ancora ad Acquaviva. Niente cronometro, niente giudice di linea, solo un paio di volenterosi ragazzi messi nei due punti strategici: la partenza e il traguardo, quest’ultimo posto, per l’appunto, all’altezza da porta russa.

Orbene, un giorno decisi di sfidare u Pipituni, con una posta addirittura di 20 lire. Una somma enorme!!
Allenamenti durati due giorni con ripasso del percorso e attenzione rivolta in particolare ai pregi e difetti del tracciato. Una vera e propria competizione curata nei minimi particolari. Orario della gara ore 14 e pranzo ad hoc: insalata di pomodoro. La richiesta stupì mia madre che mi accontentò. Dissi che dovevo sfidare nella corsa u Pipituni, ma mi guardai bene di fare cenno alla 20 lire in palio.

Mi portai appresso l’allenatore-testimone che fu prodigo di consigli. La distanza era di circa di un centinaio di metri, una distanza enorme per dei ragazzini di 9-10 anni. Uno due tre, pronti via. Partii a razzo e distanziai l’avversario di quel tanto che mi fece illudere di averlo battuto. La sua corsa era fluida e a suo modo elegante, quanto la mia goffa e impacciata, nonostante i pomodori. Battuto e sfiancato e con 20 lire in meno. A porta russa, sornione, quasi mi lanciò un sorriso di scherno.

Nel tardo pomeriggio raccontai tutto a mio fratello con una dovizia di particolari del miglior Paolo Rosi (grande cronista di atletica leggera della RAI). Mi resi conto di non avere un grande futuro come atleta, ma forse un piccola speranza di cronista sportivo sì. Poi il calcio…

Per saperne di più su Pitruzzu Ciccarelli da Mussomeli vi invitiamo a consultare la scheda in Bibliografia Mussomelese

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Scritto da: Ciccarelli_Piero - il 20 febbraio 2011 - Categoria: Quannu mi chiamavanu Pitruzzu ! - Nessun Commento -

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